Il percorso dei mulini

La fonte della Pescaia

Fino alla metà dell’ 800 i viandanti che dalla bassa Valdera volevano entrare a Chianni erano quasi obbligati a percorrere una stretta via che da Rivalto scendeva fino al torrente San Donato, dove un piccolo ponte – forse di origine medievale – permetteva di entrare nel centro abitato. 

Come in moltissimi altri centri dell’Italia centrale, ad accogliere i viandanti si trovavano una o più fonti, che servivano non solo a dissetare i forestieri, ma pure alle donne del paese, che andavano a prendere l’acqua con le classiche brocche rigorosamente portate sopra la testa.

Delle due fonti presenti fino alla metà del XIX secolo, solo la fonte della “Pescaia” rimane ancora intatta e ben visibile.

La fonte della Pescaia

Risalente forse addirittura al XVII secolo, ma certamente rimaneggiata nel corso dei secoli, conserva ancora adesso la classica arcata in laterizi e le bocche laterali originali, da cui si poteva attingere l’acqua proveniente dalle sorgenti dei monti sovrastanti il centro di Chianni.

Una fotografia del 1926 mostra alcune donne del paese che tornano dalla fonte, portando sulla testa le grosse brocche piene dell’acqua appena attinta. 

Nelle immediate vicinanze sorgevano anche dei lavatoi in muratura, grosse vasche dove le donne venivano a lavare i capi sporchi, purtroppo sciaguratamente demoliti in più occasioni nella seconda metà del XX secolo.

Oggi la fonte della Pescaia non è più attiva, ma resta un giardino suggestivo grazie alla ricca vegetazione vicino al torrente S. Donato, che rende questo piccolo parco un’oasi di refrigerio dalla calura estiva, ideale per trascorrere del tempo con i bambini.  

Il parco è disponibile anche per matrimoni civili.

Nei pressi della fonte pescaia, sul torrente S. donato sono visibili i resti di alcuni edifici, adibiti a frantoi e mulini.

Nel 2014 un gruppo di volontari ha iniziato i lavori di recupero dei resti architettonici, portando alla luce un patrimonio storico, sepolto da vegetazione e laterizi.

I Mulini

Per garantire un rendimento ottimale ai loro mulini idraulici i Conti  Rasponi – Spinelli, che avevano acquistato gran parte del territorio chiannerino decisero – fra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo di risollevare l’economia depressa della zona, dopo oltre un secolo di mala gestione da parte dei Marchesi Riccardi. 

Insieme alla costruzione di vie, nuove case coloniche, fonti e quanto fosse necessario alla fattoria, si decise di costruire due nuove strutture nella parte iniziale del torrente San Donato, a monte quindi dei mulini già esistenti; probabilmente furono edificati su costruzioni già esistenti o comunque sfruttando le loro murature.

Sotto la fonte della Pescaia e i suoi lavatoi fu innalzato un grandioso frantoio a pianta vagamente quadrangolare articolato su due piani e con copertura a due falde.

Il Catasto Leopoldino del 1821 indica con chiarezza l’esistenza già in quest’epoca di questa struttura, permettendoci di ricostruire il suo perimetro e quello delle strutture annesse.

Invece della classica ruota orizzontale o “ritrecino” impiegata nel sottostante mulino B o “Tettone”, qui si scelse la nuova e moderna ruota verticale a cassette, fatta girare attraverso un getto d’acqua proveniente dalla sovrastante gora dalle dimensioni ragguardevoli con un “acquitognolo”, ovvero una conduttura in parte in muratura, in parte in legno che faceva cadere l’acqua sopra le cassette della ruota.

Era un investimento di qualità che avrebbe dato i suoi frutti negli anni a venire.

La ruota, girando, azionava le grandi stelle in metallo e legno che a loro volta azionavano le macine verticali per la frantumazione delle olive; alle pareti oltre ai coppi per la conservazione dell’olio e al camino, indispensabile per dissipare l’umidità, sorgevano dei torchi in ghisa per la spremitura della sansa, dei quali restano ancora oggi le basi in pietra lavorata.

L’invenzione e l’uso dell’energia elettrica comportò a partire dagli anni trenta del secolo scorso il progressivo declino di questa struttura.

Caduto in disuso intorno agli anni quaranta del XX secolo e sfruttato durante il secondo conflitto mondiale come alloggio per i soldati americani, nel giro di cinquanta anni l’abbandono, il suo sfruttamento come cava per ricavarne pietre e mattoni e la noncuranza generale hanno prodotto danni gravissimi tali da non permettere una ricostruzione sicura del suo alzato.

A valle dei mulini di più recente costruzione, superando una serie di cascate naturali – quasi sempre regolarizzate artificialmente attraverso la realizzazione di briglie in muratura con lo scopo di rallentare la velocità e quindi l’erosione delle acque – possiamo scorgere fra la vegetazione delle piccole costruzioni, in genere edifici misuranti non più di 6 metri per 8.

Sono dei mulini a conduzione familiare, articolati su due piani, l’inferno, ovvero la stanza al piano terra o leggermente sotterranea in cui si trovava la ruota orizzontale e una stanzina superiore, in genere accessibile da una scala esterna, in cui ancora oggi – quasi completamente immerse dalle macerie – si intravedono le macine.

L’uso della ruota idraulica orizzontale – a causa della sua scarsa resa produttiva e del quantitativo minimo di energia prodotta – era assolutamente incompatibile con una produzione commerciale della farina ma era più che sufficiente per la macinazione dei cereali destinati al consumo delle famiglie contadine del posto: il piccolo mulino idraulico diventò quasi un simbolo della civiltà contadina e della sua autosufficienza produttiva.

Questi mulini molto spesso erano di proprietà di ricche famiglie del posto, che potevano affittare o concedere a pagamento l’uso del mulino a contadini o mugnai. E’ certo che almeno uno dei mulini apparteneva alla Chiesa di S. Donato e che la sua origine risale al XIV secolo

Ad oggi solo quattro di questi mulini restano più o meno visibili, spesso in condizioni precarie ma tali da darci ancora un’idea piuttosto chiara sulla loro struttura e sul loro funzionamento.

Mulino Tettone

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